Il mio posto

Qualche giorno fa, mio piccolo bimbo incompiuto, ho fatto l’amniocentesi. Si tratta di un esame abbastanza rischioso in quanto può indurre l’aborto ma è l’unico modo per assicurarci che sia tutto a posto,  che tu stia bene. E siccome ormai sia io che Marcello non siamo più giovanissimi ho deciso di correre il rischio. I risultati arriveranno agli inizi di marzo quindi non sappiamo ancora nulla. Dopo aver fatto l’esame ho seguito i consigli medici e sono rimasta in casa tre giorni per non affaticarmi. Sono stati tre giorni terribili. Il mio umore, come sai, era già abbastanza cupo e a tutti i pensieri che avevo prima si sono aggiunte le preoccupazioni per le analisi, la tensione per ogni singolo mal di pancia e altra solitudine. Alla fine di questi tre giorni oggi, che è domenica e c’è un sole bellissimo e caldo, mi sono alzata dal letto con il solo desiderio di uscire e scaldarmi un pò l’anima. Così mi sono alzata, ho fatto lo shampoo, mi sono preparata e ho chiesto a tuo padre quali fossero i suoi programmi per la giornata. Sapevo già che avrebbe avuto altre cose da fare ma io ero determinata a non lasciarmi convincere a rimanere ancora in casa; così, quando ha confermato le mie previsioni dicendomi che aveva già detto ai tuoi nonni che avremmo pranzato da loro, gli ho chiesto la cortesia di accompagnarmi a prendere la metropolitana, che io ero decisa a raggiungere il mare. Lui si è arrabbiato e, nonostante io non avessi recriminato assolutamente nulla, ha cominciato ad accusarmi per ciò che non avevo detto. Poi mi ha accompagnata, e durante il tragitto mi ha detto che mi avrebbe raggiunto dopo. Ma per me non aveva importanza, era andata esattamente come avevo presto, perciò non mi aspettavo nulla. Sono salita in metropolitana senza avere ancora una meta. Le opzioni erano due: scendere a Toledo e raggiungere a piedi Castel dell’Ovo oppure raggiungere la stazione, prendere il primo treno e andare a Salerno a guardare i Gabbiani, quei Gabbiani che per anni mi avevano reso meno penosa la solitudine. Chiaramente la prima opzione era più immediata, eppure quel lasciarmi trasportare dalla metro era in qualche modo consolatorio, mi dava l’illusione di allontanarmi anche dal dispiacere e non avrei quindi voluto interrompere subito il mio viaggio. Così ho scelto la seconda. Sono scesa alla stazione, il treno stava per partire ma sono riuscita a prenderlo, mi sono accomodata nel mio posto e mi sono lasciata trasportare ancora. Arrivata qui ho raggiunto il solito locale, mi sono seduta al sole e ho mangiato qualcosa. Il mio pranzo domenicale è stato un piatto di spinaci al burro e parmigiano con due fettine di panpizza. Dopo averlo consumato il più lentamente possibile mi sono incamminata su un lungomare pieno zeppo di persone, di famiglie e di bambini vestiti di carnevale e letteralmente sommerso dai coriandoli. Ah già, mi sono detta, è carnevale”. Ho pensato che magari tra un anno sarò qui con te e anche tu avrai la tua bellissima maschera colorata…poi il pensiero negativo… “e magari anche tra un anno, anche se ci sarai tu, Marcello preferirà rimanere a casa a mangiare dai suoi…”. Mentre fantasticavo il telefono mi ha richiamato alla realtà. Era lui, ho risposto, si è arrabbiato ancora. Questa volta perchè non gli avevo detto che sarei andata a Salerno, perchè o si fa come dico io o niente e non so per che cos’altro. Non ho ribattuto nulla, non ne ho la forza, ho lasciato che muovesse le sue accuse e poi, quando ha finito, abbiamo attaccato. Ho chiuso la telefonata così, sentendo di nuovo e in tutta la sua pesantezza il suo giudizio negativo su di me. Mi ci sto quasi abituando, mi sono ritrovata a pensare che se non riesco più ad essere resiliente sarò resistente, diverrò indifferente alle sue accuse. E in questo mi sono sentita tornare bambina, a quel giorno risolutivo e reazionario in cui dissi a me stessa che non avrei pianto mai più a causa di mio padre e mio padre. E fu così, non piansi più,  passai gli anni successivi ad indurire il muro che mi separava dall’esterno e così affrontati tutto ciò che avvenne in seguito. Ma all’epoca, sebbene fossi solo una bambina, potevo contare su una forza d’animo che oggi non riesco neppure lontanamente a rintracciare in me stessa. Assorta in questi pensieri, tra centinaia di persone, ho passeggiato sul lungomare cercando un posticino al sole per sedermi.  Ci ho sempre impiegato tanto, io, a trovare il mio posto. E adesso sono qui, a scriverti parole tristi che mai ti farò leggere. Il mare che intravedo attraverso il flusso continuo di persone sembra sole che penetra a sprazzi tra la fitta volta del bosco ed è bellissimo, di un azzurro così intenso che anche con questi macigni sul cuore riesco a rasserenarmi. È il potere della natura. La luce sugli scogli è calda e dorata e i Gabbiani attendono pazientemente che i bimbi si accorgano di loro e gli lancino da mangiare. Sono diventati bravissimi a raccogliere i pezzi di cibo al volo e guardarli fare mille acrobazie aeree mentre a centinaia si contendono un unico pezzo di pane è spettacolare. Presto anche tu potrai guardare tutto questo con i tuoi occhi, presto verremo assieme a lanciare pane ai Gabbiani e mentre tu riderai felice e divertito io penserò a quando lo facevo da sola, sorridendo e ringraziando di averti avuto. Intanto proverò a recuperare un pò di quell’immensa forza che avevo da bambina perchè non voglio piangere più da sola nel letto, quando vado a dormire. Ho troppa paura di  condizionarti e di destinare anche te, fin da ora, a un’esistenza incline alla tristezza e non me lo perdonerai mai, perchè tutto quello che voglio per te è che tu sia un pò più felice di quanto non lo sia stata io.